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lunedì 27 marzo 2017

LA QUARTA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

I Congressi di un partito sono sempre un momento di grande confronto ed analisi, degno di nota l'intervento  di Silvia Conca giovane compagna del circolo Che Guevara -Cinisello che pubblichiamo volentieri, una bella lezione per tutti, un'attenta versione della nostra società odierna e futura ma soprattutto di cio' che siamo.

Compagni e compagne,
non vi nascondo un certo imbarazzo nell’essere qui oggi come delegata in un congresso che ho
trovato desolante e al quale ho rischiato di non partecipare.
Il senso di desolazione è dovuto alla consapevolezza che i due documenti congressuali non
rappresentano il dibattito reale nel partito. Un dibattito non certo avvincente, dato che è sintomo di
una mancanza di elaborazione autonoma dal capitalismo, ma comunque più vivo e vitale di ciò che
esprimono i due documenti, in larghe parti sovrapponibili.
Quando li ho letti, mi sono sentita presa in giro. Ho passato gli anni migliori della mia vita a lottare
per l’affermazione di un punto di vista femminista nella nostra organizzazione, dileggiata da chi
riteneva il conflitto capitale-lavoro non centrale, ma del tutto esaustivo. Adesso chi era ostile si
dichiara femminista e libertario, perché quello che conta davvero è l’assalto al gruppo dirigente.
Non capisco e non perdono le compagne femministe che si sono prestate a questa operazione, che
noi chiameremmo pinkwashing.
Non dico questo con spirito di polemica congressuale, ma con dolore, perché mi sarebbe piaciuto
affrontare questo congresso a partire dalle posizioni realmente in campo, senza camuffamenti tattici,
confrontandoci e affrontandoci a viso aperto.
Nello scontro intercapitalistico in atto in questo momento i padroni e i loro rappresentanti politici si
combattono senza nascondersi: Trump contro Clinton Brexit contro Remain stanno lì a dimostrarlo.
C’è un capitalismo globalizzato e uno che vuole ripristinare i confini per persone, merci e monete.
C’è un capitalismo politicamente corretto che riduce le diseguaglianze sociali, etniche e di identità
alla loro rappresentazione e alla tutela di diritti formali e c’è un capitalismo populista che divide i
soggetti oppressi per riaffermare il suo dominio. La sinistra di classe è completamente subalterna a
questo dibattito, incapace di proporre un’alternativa autonoma e si riduce a fare il tifo per la
borghesia liberal o quella reazionaria. Questo congresso sarebbe dovuto servire a interrompere
questa follia, questo tifo per l’uno o l’altro nemico, invece è il solito congresso in cui ci ripetiamola
rassicurante analisi sullo scontro tra un neoliberismo in crisi e un fantomatico keynesismo che
dovrebbe contrastarlo, quando a contrastarlo è la reazione più bieca.
Le posizioni reazionarie che dilagano nel nostro stesso partito sono un problema enorme, ma chi
inibisce l’analisi in una fase di cambiamenti epocali non è giustificabile. È dovere dei comunisti e
delle comuniste non rimanere indietro, anticipare le mosse del capitale, progettare il migliore dei
mondi possibili e far sì che la classe lo costruisca.
Non volevo votare, poi ho visto che nei nostri congressi di circolo veniva presentato un
emendamento locale su uno dei temi centrali del nostro tempo, sostanzialmente ignorato dai
documenti: quello della quarta rivoluzione industriale. Questo emendamento incarna lo spirito
propositivo che mi sarebbe piaciuto vedere nell’intero congresso. Invece no, ci dividiamo ancora
sull’unità della sinistra, sul monetarismo, su temi tattici, marginali, obsoleti, politicisti. Riusciamoancora a scontrarci sulla riduzione dell’orario di lavoro contro l’istituzione di forme di reddito e
vice versa, mentre i padroni che hanno in mano i nuovi settori-chiave dell’espansione capitalistica
riescono a fare proposte capaci di coniugare entrambe le cose. Però per noi qualche slogan
rassicurante e qualche presa di posizione consolidata nei decenni e miope rispetto ai cambiamenti
materiali nella produzione è sufficiente a credere di aver fatto il nostro dovere.
Non è così. Il mondo sta cambiando. È già cambiato nel nostro uso quotidiano dei social network,
piattaforme di raccolta di dati a uso e consumo del mercato, nuova forma di estrazione del valore a
cui tutti e tutte ci sottoponiamo volontariamente e gratuitamente. È già cambiato, e lo vediamonella nostra città, attraverso il dilagare di applicazioni che cambiano il consumo, gli stili di vita ma
soprattutto il lavoro. Nel novembre del 2015 alla conferenza dei/delle GC ho provato a partire da
me a porre il problema delle nuove forme di lavoro, slegato dagli orari, pervasivo, non analizzabile
attraverso le categorie decennali a cui siamo abituati né sovrapponibile con un vago concetto di
precarietà: qualche adulto presente ha derubricato la cosa a questione marginale. Lasciamo che le
trasformazioni del mondo del lavoro ci passino sotto gli occhi senza riconoscerle.
Sharing economy, app economy, capitalismo delle piattaforme non rappresentano settori economici
limitati, ma il punto di partenza da cui riverbera il modello generale che si affermerà nei prossimianni. Attraverso l’attuale raccolta di dati, si stanno affinando le tecnologie che porteranno
all’automazione pressoché completa di gran parte dei lavori attraverso l’intelligenza artificiale.
Come ci sembrerà obsoleta tra qualche anno la diatriba tra i tassisti e i driver di Uber, quando
arriverà la Google Car che, senza guidatore e prenotata attraverso un’applicazione spazzerà via il
mestiere di autista e potenzialmente lo stesso settore automobilistico ad uso privato! E cosa accadrà
al settore della logistica, tra i più conflittuali a livello sindacale in Italia, quando nei magazzini di
Amazon, che a Piacenza sono popolati da facchini che letteralmente corrono per l’intero turno di
lavoro, arriverà l’automazione già presente nei magazzini di Seattle?
I compagni e le compagne che si mobilitano per il Milano Pride (troppo pochi in realtà, perché la
questione lgbtq non ha il giusto spazio nel nostro dibattito) si saranno accorti che la manifestazione
è ormai sponsorizzata o vede la presenza di spezzoni aziendali di Google, Twitter, Deliveroo,
Amazon, Microsoft, Car2Go, Cam4, Sap. Per spezzoni aziendali intendo spezzoni di dipendenti che
sfilano sotto le insegne dell’azienda: una vera sofferenza per qualsiasi comunista voglia scendere in
piazza. Questo è sintomo del posizionamento di queste aziende all’interno dello scontro
intercapitalistico in corso nel campo del capitalismo liberal e politicamente corretto. Mark
Zuckerberg, a cui i governi stanno delegando la gestione della censura delle cosiddette bufale, hha
chiare velleità politiche planetarie e un business plan che prevede per i prossimi anni l’obiettivo
finale di sviluppo di tecnologie che sembrano pensate per un uso bellico. La sua capacità di
orientamento delle masse attraverso i big data è inimmaginabile. Va infatti detto che questo modello
economico da un lato atomizza le masse produttive, dall’altro le profila, le divide in categorie, le
indirizza con una comunicazione personalizzata. L’unione di queste due cose rischia di distruggere
la società di massa e di ostacolare fortemente la possibilità di risvegliare la coscienza di classe.
Il nostro compito storico sarà sempre più duro e dobbiamo essere pronti. Rischiamo, infatti, di farci
cogliere alla sprovvista e di non riuscire a gestire le reazioni del proletariato di fronte al nuovo
modello industriale. I comunisti e le comuniste non possono per natura del loro pensiero
considerare l’innovazione tecnologica come un nemico, ma la tentazione sarà forte, dati i
drammatici risvolti occupazionali. Non potremo, però, nemmeno arrenderci all’idea che sia il
capitalismo aliberare il lavoro: non sarà così, la proprietà della tecnologia rischia di essere
estremamente centralizzata, come denunciano gli scienziati che la stanno sviluppando, chiedendo
alla politica di trovare soluzioni inclusive.
Non possiamo esimerci dallo studio di ciò che sta avvenendo: siamo già in ritardo. Mettiamo al
centro del nostro agire politico il futuro, non lasciamo che le nostre evidenti difficoltà inibiscano
questo lavoro. I compagni e le compagne curdi ci stanno insegnando che anche nelle situazioni più
difficili è possibile studiare, elaborare, operare per la costruzione di una nuova civiltà nel segnodell’uguaglianza.

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