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domenica 21 agosto 2016

NO REFERENDUM :UNA MINORANZA PD DISSENTE

Il blog quipadernodugnano riporta l'interessante documento emanato ai primi di agosto da una minoranza PD che dissente dall'attuale linea per il SI intrapresa dalla maggioranza del partito.
Gianfranco Massetti autore del post ne riporta alcuni punti fondamentali:
1) le priorità in agenda.

È nostra convinzione che le riforme costituzionali, pur necessarie, non rappresentino la priorità in agenda. Di più: che da gran tempo è invalsa l’abitudine – una sorta di alibi per la classe politica – di imputare alla Costituzione la responsabilità di insufficienze che semmai vanno intestate alla politica e all’amministrazione; nonché di spostare tutta l’attenzione dall’esigenza di dare attuazione a principi e diritti scolpiti nella Carta alla ingegneria costituzionale in una sorta di frenesia riformatrice; 2) legittimazione o, meglio, autorevolezza di questo parlamento. Conosciamo la sentenza n. 1 del 2014 che autorizza l’operatività del parlamento ancorché eletto con il Porcellum dichiarato incostituzionale dalla Consulta. Ma una cosa è la sua operatività ordinaria, altra cosa è la riscrittura di ben 47 articoli della Costituzione, un ridisegno della sua seconda parte (per altro già rinnovata in taluni suoi articoli), per il quale si richiederebbero ben altra autorevolezza e forse un più esplicito mandato da parte degli elettori. Abbiamo la memoria corta: dopo l’esito delle elezioni politiche del 2013, dalle quali non è sortita una maggioranza, era opinione unanime che si dovesse dare vita a un governo istituzionale che portasse entro un anno a nuove elezioni, non a governi o a una legislatura costituenti; 3) metodo. È profilo cruciale. Le revisioni costituzionali sono materia parlamentare per eccellenza. Nel nostro caso, l’intero processo è stato ideato, gestito, votato dal governo, per altro facendo appello a motivazioni giuste ma francamente incongrue rispetto alla portata della riforma quali la riduzione dei costi. Un protagonismo esorbitante e improprio del governo, non privo di gravi conseguenze. Tra le quali quella di non giovare al fine di raccogliere una maggioranza larga, quale si conviene alla riscrittura della Legge fondamentale della Repubblica; quella inoltre di smentire il solenne impegno a non ripetere l’errore del passato di riforme varate da una stretta maggioranza di governo; quella infine di porre l’ennesimo, insidioso precedente foriero di altri futuri strappi da parte di maggioranze politiche contingenti, in un tempo che ci suggerisce di non escludere, per il futuro, governi dal segno illiberale. E ancora: quella di porre le premesse per un referendum costituzionale il cui oggetto slitta dal quesito di merito
formale al quesito implicito sul sì o no al governo, dunque un plebiscito. Anche a motivo della non omogeneità dell’oggetto, come prescrive la giurisprudenza costituzionale e, prima ancora, l’art. 138 la cui “ratio” chiaramente sottintende revisioni mirate e puntuali; 4) il merito. In estrema sintesi, la nostra opinione è che la riforma non riesca a perseguire gli obiettivi dichiarati: di semplificazione e di conferimento di efficienza e di efficacia al sistema istituzionale. Più specificamente, essa disegna un bicameralismo confuso – va da sé che siamo favorevoli al superamento del bicameralismo paritario – nel quale il Senato, privo per altro di adeguata autorevolezza e rappresentatività, rischia semmai di costituire un ulteriore ostacolo al processo decisionale (davvero si pensa che il problema sia quello di fare più celermente nuove leggi, anziché quello di farne meno e di scriverle meglio?); un procedimento legislativo farraginoso e foriero di conflitti; un Senato la cui estrazione locale mal si concilia con le rilevanti competenze europee e internazionali affidategli; una esorbitante ricentralizzazione nel rapporto Stato-regioni che revoca il principio/valore delle autonomie ex art. 5 della Carta (paradossalmente ignorando l’esigenza di ripensare le regioni ad autonomia speciale); una complessiva alterazione degli equilibri, delle garanzie e dei bilanciamenti di cui si nutre il costituzionalismo tutto a vantaggio del governo, un vantaggio ulteriormente avvalorato dall’Italicum; il conferimento ai futuri consiglieri regionali e sindaci senatori dell’istituto dell’immunità sino a oggi riservato ai soli rappresentanti della nazione in senso proprio;
5) elettività dei senatori. Nell’ultimo e decisivo passaggio della riforma al Senato la questione più dibattuta fu quella della sua elettività, motivata in ragione delle competenze ad esso assegnate – dalle leggi di revisione costituzionale alla materia comunitaria sino alla ratifica dei trattati internazionali – che palesemente presuppongono senatori eletti direttamente dai cittadini in quanto fonte della sovranità nazionale. Ne è sortita una elaborata mediazione sul testo che di fatto rinvia la questione a una legge elettorale (del Senato) ordinaria di attuazione. Sul punto, vi fu l’intesa di fare precedere il referendum costituzionale da un impegnativo atto politico se non dalla messa a punto di una bozza di tale legge attuativa, della quale non si ha più notizia. Rilasciando così nell’incertezza la cruciale questione della elettività dei senatori;
6) infine una ragione politica, che riguarda il PD e, più complessivamente, l’evoluzione del sistema politico.
I firmatari che voteranno NO al Referendum sono:Paolo Corsini, Nerina Dirindin, Luigi Manconi, Claudio Micheloni, Massimo Mucchetti, Lucrezia Ricchiutti, Walter Tocci, Luisa Bossa, Angelo Capodicasa, Franco Monaco
A questo punto sorge spontaneo domandarsi se anche in quel di Paderno Dugnano, ovvero nell'attuale PD esista una minoranza a favore del NO .....

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